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L’impresario in angustie

Cimarosa: L'impresario in Angustie

Degli oltre novanta titoli operistici del catalogo di Domenico Cimarosa, pochi di questi hanno superato la prova del tempo (e del repertorio). Lo stesso destino infelice ha colpito anche L’impresario in angustie, «farsa in un atto»: battezzata nell’autunno 1786 al Teatro Nuovo di Napoli, conobbe un repentino successo, rimaneggiamenti e traduzioni (non ultima la versione tedesca di Goethe per una rappresentazione al teatro di Weimar nel 1791), dopodiché fu semplicemente dimenticata.
Le angustie de L’Impresario iniziarono a conoscere qualche sollievo dagli anni ’30 del Novecento, quando ci furono le primissime riprese moderne al Regio di Torino e alla Scala, passando per una memorabile esecuzione del 1963 con l’Orchestra RAI di Napoli guidata da Luigi Colonna, fino ad approdare alla prima incisione in disco datata 1997, diretta da Fabio Maestri.

Una nuova e più moderna incisione discografica è stata (finalmente) pubblicata nell’aprile 2018 a cura della Brilliant Classics, contribuendo a gettare una luce nuova su un lavoro che è comunque meritevole di attenzione. Esistono due versioni principali dell’Impresario in angustie, quella effettiva del 1786 e una seconda – probabilmente senza l’avallo di Cimarosa – nel 1790 per il teatro di Vienna: quest’ultima è decisamente più incipriata, ha un occhio di riguardo per il bon ton e si vuole distinguere con l’aggiunta di una Sinfonia e di alcune spezie di gusto viennese.
La versione che la Brilliant propone in questa edizione è quella originale, senza aggiunte apocrife: la versione di Napoli è graffiante, disinvolta, con i denti del libretto di Giuseppe Maria Diodati ancora ben aguzzi che mordono il ventre molle delle convenienze e inconvenienze teatrali dell’epoca (non per niente libretti simili hanno come antenato comune il famoso Teatro alla moda di Benedetto Marcello).

Nonostante il soggetto ferocemente satirico, la partitura non potrebbe essere più raffinata; proprio questo aspetto è stato sottolineato dall’ottima direzione di Aldo Salvagno, in cui si esaltano i colori, anche attraverso una scelta intelligente dei tempi; l’accurato studio sulla parola è tale da far aderire con finezza la musica alla lingua viva dei dialoghi popolari e si rendono palesi le forti assonanze con lo stile di Mozart (che, curiosamente, nel febbraio dello stesso anno scrisse un Singspiel sul medesimo argomento, intitolato L’impresario teatrale). Eccellente l’esecuzione dell’Orchestra Bruno Maderna di Forlì, rimarchevole per pulizia di idea e intonazione e per il perfetto equilibrio raggiunto. Degna di menzione la cembalista Serena Agostini per il valido apporto ai recitativi secchi.

Nel cast protagonistico si impone Carlo Torriani, interprete dell’impresario eponimo: il suo Don Grisobolo è istrionico, intelligente. Dotato di una vis comica accattivante ma sempre ben misurata, unita a un sapiente controllo dello strumento vocale, mette in mostra le (molte) frecce al proprio arco nell’aria "Vado e giro nei palchetti".
Notevoli Marco Filippo Romano (Don Perizonio Fattapane), che con pochi tratti ha efficacemente saputo rendere il «poetastro» tanto fanatico di cultura classica quanto ignorante e il tenore Alejandro Escobar (Gelindo Scagliozzi), il cui timbro limpido e l’ottima tecnica lo rendono un interprete ben più che valido per il repertorio leggero, in particolare quello Settecentesco. Di primissimo piano anche l’interpretazione, divertente e divertita, di Paola Cigna (Fiordispina). Interessanti Camilla Antonini (Doralba), ben riconoscibile negli insiemi ma mai “fuori posto”, e Lavinia Bini (Merlina). Il basso Luca Gallo (Strabinio) completa il cast di questo raro ma validissimo Impresario, un pezzo che non può mancare nella discoteca di appassionati e musicisti.

Luca Fialdini